Nadeem Aslam
Il libro dell’acqua e di altri specchi
(Add editore, 2019)
Un romanzo d’amore, certo. Ma soprattutto un racconto epico sulla vita di una donna rimasta sola in una città immaginaria del Pakistan, Zamana, al centro di furori religiosi al limite della distopia più cupa. Nadeem Aslan, celebrato autore pakistano ma da anni residente in Inghilterra, vincitore di premi prestigiosi tra cui l’Encore Award e il Windham-Campbell Prize, scava nell’animo umano, raccontando la storia di Nargis e Massud, una coppia di architetti unita come poche anche se all’ombra di segreti mai confessati. Nargis è nata Margaret e cristiana. Si è finta musulmana e integrata per sfuggire alle oppressioni. Una circostanza mai confessata al marito. Quando Massud muore in un attentato, il passato di Nargis tornerà a galla, pesando sul presente e ipotecando il suo futuro.
Per gentile concessione dell’autore e di Add editore pubblichiamo un ampio estratto del libro. Fabio Poletti
Questo mondo è l’ultima cosa che Dio ci dirà. Poche ora prima di essere ucciso, Massud si svegliò per la chiamata alla preghiera. Veniva dagli altoparlanti del minareto dall’altro lato della via. Immaginò i fedeli che si avvicinavano in silenzio alla moschea settecentesca, alcuni con una lanterna in mano. La vista delle scarpe lasciate sulla soglia delle moschee gli faceva sempre pensare che subito prima di entrare gli uomini si fossero trasformati in puro spirito.
Quando la chiamata terminò, sentì il profumo del pane dalla casa dietro la moschea, dove abitava il chierico, la cui figlia si alzava a quell’ora per preparargli da mangiare.
Massud voltò la testa sul cuscino e guardò Nargis, addormentata
al suo fianco. Non sapeva quanto tempo fosse rimasto a guardarla, ma intorno a loro la luce era andata a poco a poco aumentando, man mano che i primi raggi del giorno colpivano la casa. C’erano ombre, ma erano sfuocate. Quanto sarebbe stato rumoroso il sole, aveva osservato una volta
Nargis, se il suono avesse potuto viaggiare attraverso lo spazio cosmico. Le incessanti tempeste di fuoco. Gli oceani di fiamme.
Il mese precedente Massud aveva compiuto cinquantacinque anni, Nargis cinquantadue. Si erano conosciuti e sposati quando avevano poco più di vent’anni e, come le avrebbe confessato in seguito, lui aveva trovato il coraggio di guardarla di nuovo solo quindici giorni dopo averla guardata per la prima volta. Con la sua bellezza e la sua calma contemplativa,
non gli sembrava una persona reale. La prima volta che l’aveva abbracciata era quasi svenuto, con suo grande imbarazzo.
Ora, sdraiato sveglio accanto a lei, era riconoscente per la sua presenza nella sua vita. Dalla direzione della moschea giunse un altro alito di vento, e mentre si riaddormentava ricordò di aver letto da qualche parte che il profumo del pane instillava gentilezza negli esseri umani. Diverse ali d’uccello, illuminate da strisce di luce del sole, erano appese a dei chiodi su una parete della cucina. Erano in ordine di grandezza, da una coppia d’ali di nettarinia larghe cinque centimetri fino a una singola ala gigante appartenuta a un cigno trombettiere, con decine di specie nel
mezzo.
Molti sostenevano che l’edificio moderno più bello del
Pakistan fosse una moschea progettata da Nargis e Massud.
Erano architetti, e vivevano circondati di oggetti da cui trarre ispirazione.
Oltre alle ali d’uccello, in un corridoio c’erano un cocchio del Sindh e un’armatura da samurai che sembrava fatta di scaglie di drago. La terra non è una sfera perfetta; se gli oceani si svuotassero, somiglierebbe a una palla deformata, e Massud ne aveva scolpito nell’arenaria la forma esatta.
La tenevano al centro del giardino. Sparse per la casa su ripiani e tavolini c’erano piccole riproduzioni di alcuni dei più celebri edifici del mondo. La sezione trasversale della cattedrale di Durham. La Città Proibita. La Glass House di New Canaan, negli Stati Uniti.
In cucina, Nargis stava preparando il tè.
Quando venne l’ora delle notizie, accese la radio. Ormai da settimane, qualcuno entrava nelle moschee della città – quasi sempre di notte – e si serviva degli altoparlanti dei minareti per rivelare ai quattro venti i segreti degli abitanti, le loro dissolutezze e i loro atti immorali, esponendo apertamente i vizi tenuti fino a quel momento gelosamente
nascosti. Nessuno era riuscito a individuare il colpevole, o i colpevoli, e la città di Zamana era attanagliata da un’inedita forma di terrore.
Come forse era inevitabile, qualcuno diceva che fosse la voce di Allah. Altri sostenevano che i responsabili di quel fenomeno angosciante fossero i chierici stessi, anche se diverse volte gli altoparlanti avevano denunciato ipocrisie e gravi manchevolezze all’interno della stessa moschea.
Nargis restò impietrita sentendo il giornalista riferire come durante la notte una giovane donna fosse stata uccisa dai suoi fratelli, un’ora dopo che un minareto ne aveva rivelato la tresca con un amante.
Andò allo scaffale e spense la radio.
Attraverso la porta aperta vedeva Massud in giardino. Era
ancora presto, ancora l’ora fragile, sebbene fra gli alberi filtrasse
la luce del sole. Massud stava controllando il caprifoglio cinese, il rampicante che il mese prima era stato danneggiato
dalla grandine.
Nargis guardò l’orologio. Quella mattina dovevano uscire di casa per supervisionare il trasferimento di migliaia di libri da una delle più antiche biblioteche di Zamana alla nuova sede progettata e costruita da loro.
La maggior parte dei volumi era già stata portata alla nuova sede. Quelli che sarebbero stati spostati quella mattina erano i volumi della sezione islamica. Dato che in ognuno di quei testi compariva il nome di Allah o di Maometto, si era deciso che sarebbero stati trasferiti dall’uno all’altro edificio a mano. Su un camion o su un carro il rischio che si contaminassero
con una qualche sozzura sarebbe stato troppo grande. Nargis e Massud sarebbero andati a piedi fino alla vicina Grand Trunk Road per unirsi alla catena umana, e i libri avrebbero percorso un miglio passando da una mano all’altra.
«Dobbiamo uscire per le sette e mezza», disse Nargis quando lui entrò in cucina. Aveva annaffiato i girasoli, e i suoi piedi lasciavano impronte bagnate sul pavimento. Le si avvicinò, e da dietro le passò le braccia intorno alla vita, poggiandole il mento su una spalla. «Ho fatto un sogno
stranissimo», disse. «Qualcuno camminava con una candela
accesa in mano.»
«Non è così strano.»
«Pioveva. Forte.»
«Sai com’è», disse Nargis, meditabonda, «il cervello è l’oggetto
più complesso dell’universo.» Lei aveva un sonno molto
più profondo del suo. Sognava di rado.
«Helen ha detto che stamattina verrà qui», disse lui mentre
preparava la tavola per la colazione. «Sta scrivendo un
articolo e vuole consultare alcuni libri nello studio.»
Nargis non reagì, ma il suo silenzio lo spinse a guardarla.
«Lo so», disse.
«Dobbiamo dirglielo, Massud. Dobbiamo dirlo sia a lei sia
a Lily.»
Massud annuì.
«Non possiamo più aspettare.»
E, con qualcosa di diverso nella voce, Nargis aggiunse: «Il
Pakistan produce persone di un coraggio straordinario. Ma
nessun Paese dovrebbe costringere i propri cittadini a essere
così coraggiosi.»
Helen era la figlia di Lily e Grace, i due domestici assunti
da Nargis, cristiani ed entrambi analfabeti. E anche Helen –
che adesso aveva diciannove anni – sarebbe cresciuta priva
di istruzione e sarebbe andata a fare la serva per una famiglia
musulmana se Massud e Nargis non le avessero fornito
un’alternativa. Le avevano pagato gli studi nelle migliori
scuole di Zamana, e lei era stata una studentessa diligente e
brillante fino a tre anni prima, quando sua madre era morta
in circostanze terribili. Al delitto avevano assistito numerosi
testimoni, ma l’assassino era musulmano, e quello era il Pakistan.
All’inizio la polizia non voleva neanche aprire un’inchiesta.
Alla fine però l’uomo era stato condannato all’ergastolo
– ma due giorni prima Nargis e Massud avevano saputo
che era stato rilasciato, come premio per aver imparato a
memoria l’intero Corano. Era rimasto in prigione meno di un
anno.