Nei giorni scorsi non ha avuto molto risalto la notizia del ricorso al Tar del Lazio per l’annullamento del bando relativo alla fornitura di beni e servizi per la gestione di centri per l’accoglienza straordinaria di migranti (CAS)
presentato da alcune cooperative lombarde. Da quanto si sa, l’istanza si riferisce al fatto che il bando non rispetta gli standard di qualità definiti della Carta della Buona Accoglienza, sottoscritta da ministero dell’Interno, Associazione nazionale comuni italiani e Alleanza delle cooperative sociali. In particolare, il bando risulta, da un lato, inadeguato rispetto ai costi minimi che l’eventuale aggiudicatario sarebbe tenuto a sostenere; dall’altro, carente di una serie di servizi necessari per assistere i migranti e, al contempo, per garantire la tranquillità delle comunità ove i centri di accoglienza sono situati. La nuova impostazione dei servizi connessi all’ospitalità per i richiedenti asilo fa sì che a questi ultimi non possa essere destinato più di quanto necessario alla loro mera sopravvivenza. A tale impostazione è ispirato il nuovo schema di capitolato per la gestione dei centri di accoglienza del ministro dell’Interno, cui i relativi bandi devono conformarsi. I punti cardine del capitolato sono utili a dimostrare come gli intenti dichiarati dal ministro dell’Interno – che vanta, da un lato, la riduzione fondi destinati ai migranti e, dall’altro, la garanzia di condizioni di maggiore sicurezza – sono non solo tra loro contrastanti, ma tali da nuocere sia agli stranieri che alle comunità locali.
Lo schema di capitolato ha previsto pesanti tagli alle spese dei CAS: l’importo quotidiano destinato al mantenimento del singolo migrante è stabilito in una forchetta tra i 19 e i 26 euro, a seconda del numero di stranieri ospitati, mentre in precedenza era pari a 35 euro.
Nell’ambito della forchetta indicata, si nota il primo profilo rilevante: l’entità dei tagli ai piccoli centri è pressoché uguale a quella delle grandi strutture. Infatti, da un lato, un centro di accoglienza con 300 ospiti ottiene lo stesso ammontare al giorno per migrante di un centro con 150 utenti (25,25 euro); dall’altro lato, tale ammontare è appena inferiore a quello corrisposto per centri che ospitano 50 o 20 stranieri (26,35 euro). La graduazione di questi importi dimostra che non è stata tenuta in alcun conto la consistenza di queste strutture e, in particolare, la circostanza che quelle di maggiori dimensioni possono realizzare economie di scala che alle altre sono precluse. Quale sarà la conseguenza?
Che i tagli ai finanziamenti sono sostenibili solo per i centri più grandi, mentre rendono praticamente impossibile la gestione in quelli più piccoli, nonostante essi realizzino un sistema di accoglienza diffuso, dunque di minor impatto nei territori. E ciò comporta un’ulteriore conseguenza, che rappresenta un vero e proprio paradosso: la suddetta distribuzione dei finanziamenti che avvantaggia i grandi centri – come detto – va in direzione opposta a quanto indicato dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza migranti (2017).
La Commissione, infatti, aveva chiaramente dichiarato «il fallimento oggettivo di un approccio all’accoglienza basato su grandi centri (…) per almeno tre ordini di ragioni. Anzitutto perché quel modello produce ambienti spesso invivibili e lesivi dei diritti e della dignità umana; inoltre perché genera nei territori allarme sociale e problemi di sicurezza; infine perché può prestarsi ad opacità di gestione ed episodi di illegalità».
Quest’ultima considerazione è strettamente legata a un tema ulteriore: i tagli ai CAS non solo favoriscono i centri di maggiori dimensioni, ma comportano la diminuzione di tutti i servizi alla persona, alcuni dei quali spariscono totalmente.
E non si tratta solo del venir meno dell’insegnamento della lingua italiana, della formazione professionale, dello svolgimento di attività finalizzate all’inclusione sociale come il volontariato, relazioni con la comunità ospitante, sport: tutto questo occupava le giornate dei migranti, evitando che restassero inerti o cadessero preda della delinquenza, in attesa dei lunghi tempi necessari per il riscontro alla domanda di asilo. Lo schema di capitolato elimina la figura della psicologo e riduce nettamente le ore minime settimanali dell’assistenza sociale. In centri di accoglienza che ospitano sino a 50 persone quest’ultima è prevista per sole 6 ore a settimana. Ogni ospite potrà quindi incontrare l’assistente sociale in media per 28,8 minuti al mese (prima la media era di 86,4 minuti al mese). Inoltre, più grande è il CAS, minore è per gli stranieri il tempo di fruizione dell’assistenza sociale: in strutture sino a 150 ospiti la media scende a 12,8 minuti al mese (8 ore settimanali). E ancora, nei centri sino a 50 persone ogni ospite in media potrà contare sulla mediazione culturale per 48 minuti al mese (10 ore settimanali), contro le 2 ore e 52 minuti precedenti; e in strutture più grandi (fino a 300 ospiti) la media mensile di mediazione per utente scende a 19,2 minuti. I minori finanziamenti, poi, determinano anche la riduzione della presenza di coordinatori e operatori, con la conseguenza di minori presidi e controlli nelle strutture. Infine, pesanti sono anche i tagli relativi ai servizi di assistenza sanitaria: in centri che ospitano sino a 50 persone la presenza del medico è prevista per circa 4 ore all’anno per ogni migrante e nei centri più grandi il tempo è ancora minore. La riduzione di questi servizi comporta pericoli per la sicurezza e lo stato di salute non solo di chi si trova nei CAS, ma anche per i componenti della comunità locale, com’è evidente.
Detto ciò, si comprende perché è stata contestata la legittimità di bandi che, conformemente allo schema di capitolato del ministero dell’ Interno,
«propongono cifre che negano ogni possibilità di integrazione e inclusione alle persone ospitate». E si può capire meglio perché questa nuova gestione dell’accoglienza tenderà a favorire l’insicurezza con cui il vicepremier potrà continuare a cavalcare il tema dell’immigrazione: la campagna elettorale è ancora lunga, anzi infinita.